Oggi è un fatto noto: il fumo di sigarette è uno dei principali fattori di rischio per il cancro ai polmoni e molte altre malattie. Eppure, un tempo, persino i medici raccomandavano il fumo come pratica comune. Come siamo arrivati a riconoscere il collegamento tra il tabacco e il cancro?
Già nel 1602, un saggio anonimo pubblicato in Inghilterra paragonava il fumo ai danni causati dalla fuliggine sugli spazzacamini, notoriamente soggetti a gravi malattie professionali. Tuttavia, per secoli, queste intuizioni rimasero marginali e non influirono sulla percezione pubblica.
È solo nel XX secolo che i casi di cancro ai polmoni iniziarono a crescere in modo evidente. Anche allora, le prime prove scientifiche furono accolte con scetticismo. Negli anni ’40 e ’50, nonostante i rapporti medici sempre più numerosi, il potere delle aziende produttrici di tabacco e l’accettazione sociale del fumo ostacolarono la diffusione delle informazioni sui suoi rischi.
Negli anni ’20 e ’30, il crescente interesse per l’epidemiologia permise di identificare un aumento significativo dei casi di cancro ai polmoni. Nel 1939, il ricercatore tedesco Franz Hermann Müller condusse uno studio caso-controllo, confrontando individui con e senza cancro ai polmoni. La ricerca concluse che i fumatori erano più a rischio rispetto ai non fumatori.
Negli anni ’50, i dati accumulati attraverso studi di coorte, che seguivano gruppi di persone per lungo tempo, rafforzarono l’idea che i fumatori avessero maggiori probabilità di sviluppare problemi di salute rispetto ai non fumatori. Tuttavia, molti esperti erano ancora riluttanti ad accettare una relazione diretta tra il fumo e il cancro, ipotizzando che altri fattori potessero essere coinvolti.
Un contributo cruciale venne dagli esperimenti sugli animali. Negli anni ’50, il ricercatore argentino Ángel H. Roffo dimostrò che il fumo di tabacco aveva un effetto cancerogeno quando applicato sulla pelle dei conigli. Esperimenti simili successivi su topi fornirono ulteriori prove del legame tra tabacco e cancro, ricevendo ampia attenzione mediatica.
Nonostante l’impatto di queste ricerche, il fumo negli Stati Uniti raggiunse il suo picco solo negli anni ’70, a testimonianza della capacità delle aziende del tabacco di influenzare l’opinione pubblica e ritardare l’accettazione delle prove scientifiche.
Un’altra scoperta chiave riguardò il danno alle cellule polmonari causato dal fumo. Osservazioni di laboratorio mostrarono che il fumo di sigaretta danneggiava le ciglia che rivestono le vie respiratorie, impedendo loro di rimuovere efficacemente particelle dannose.
Negli anni ’30, si scoprì che gli idrocarburi policiclici aromatici presenti nel catrame erano i principali responsabili del cancro tra gli spazzacamini. Poco dopo, gli scienziati rilevarono la stessa classe di composti nel fumo di tabacco, fornendo una spiegazione chimica plausibile per la sua cancerogenicità.
La svolta definitiva arrivò nel 1964, con il rapporto del Surgeon General degli Stati Uniti, Luther L. Terry. Questo documento concluse che il fumo di sigaretta causava il cancro ai polmoni e alla laringe, oltre a malattie come l’enfisema e patologie cardiovascolari. Fu un momento cruciale nella storia della salute pubblica, che pose le basi per campagne di sensibilizzazione e regolamentazioni più severe sul tabacco.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), il tabacco causa oltre 8 milioni di morti all’anno a livello globale, inclusi i decessi legati al fumo passivo. Sebbene in molti paesi le campagne anti-fumo abbiano ridotto il numero di fumatori, in altre regioni l’abitudine del fumo rimane diffuso.
La connessione tra il fumo e il cancro non è più contestata e continua a guidare le iniziative per sensibilizzare sull’importanza di smettere di fumare e prevenire ulteriori danni alla salute globale.