
(METEOGIORNALE.IT) Il recente rallentamento della perdita di ghiaccio marino artico è solo temporaneo
Il ritiro del ghiaccio marino nell’Artico è da tempo un simbolo evidente del cambiamento climatico. Le osservazioni rivelano che l’estensione del ghiaccio marino artico alla fine dell’estate si è dimezzata rispetto all’inizio delle registrazioni satellitari, avviate alla fine degli anni ’70.
Eppure, dalla fine degli anni 2000, il ritmo della perdita di ghiaccio marino artico ha subito un rallentamento marcato, senza un calo statisticamente significativo per circa 20 anni.
In una nuova ricerca, pubblicata su Geophysical Research Letters, vengono presentati dei risultati che ho ritenuto utile proporre. Le simulazioni dei modelli climatici suggeriscono che periodi di rallentamento di perdica di ghiaccio, potrebbero verificarsi con relativa frequenza.
L’attuale rallentamento è probabilmente causato da fluttuazioni naturali del sistema climatico – così come esse hanno contribuito all’accelerazione della perdita di ghiaccio nei decenni precedenti.
Se non fosse per il riscaldamento causato dall’uomo, è probabile che il ghiaccio marino sarebbe persino aumentato in questo periodo.
Secondo le simulazioni, il rallentamento potrebbe persino durare altri cinque o dieci anni, mentre il Mondo continua comunque a riscaldarsi. Pertanto, lo studio pubblicato esclude la sparizione, per ora della banchisa polare.
Rallentamento diffuso
I cambiamenti nell’Artico sono tra gli indicatori più chiari e conosciuti di un clima in riscaldamento. Con l’Artico che si sta scaldando fino a quattro volte più della media globale, la regione ha perso oltre 10.000 chilometri cubi di ghiaccio marino dagli anni ’80. (Il volume di ghiaccio perso equivale a circa 4 miliardi di piscine olimpioniche).
Il ghiaccio marino artico ha raggiunto la sua estensione minima registrata nel settembre 2012, riducendosi a 3,41 milioni di chilometri quadrati (km²). Questo ha acceso il dibattito su quando l’Artico potrebbe vivere la sua prima estate “senza ghiaccio”, cioè con un’estensione inferiore a 1 milione di km².
Le ricerche hanno dimostrato che il riscaldamento causato dall’uomo è responsabile di circa due terzi di questo calo, mentre il resto è dovuto a fluttuazioni naturali del sistema climatico, note come “variabilità climatica interna”. Questo era ovvio, spesso trascurato dagli opinionisti. Insomma, per intenderci, in un contesto di riscaldamento globale, le fluttuazioni del clima non sono sparite, e queste giustificano varie eventi meteo estremi, anche di freddo che si osservano in giro nel Pianeta. Ma attenzione, il Global Warming non è sparito affatto.
Nonostante il minimo record del 2012, i dati satellitari mostrano un rallentamento diffuso della perdita di ghiaccio marino artico negli ultimi due decenni.
Le simulazioni dei modelli climatici sullo spessore e il volume del ghiaccio marino confermano ulteriormente queste osservazioni, indicando un calo minimo o nullo negli ultimi 15 anni.
Questi dati sono riportati nei grafici sottostanti, che mostrano l’estensione media del ghiaccio marino a settembre (a sinistra) e per l’intero anno (al centro), nonché la variazione del volume medio annuale di ghiaccio rispetto alla media di lungo periodo (a destra).
(Settembre è tipicamente il momento dell’anno in cui il ghiaccio marino raggiunge il suo minimo annuale, al termine dell’estate artica).
Le linee colorate indicano che i dati provengono dal National Snow and Ice Data Centre (NSIDC, arancione), dall’Ocean and Sea Ice Satellite Application Facility (OSISAF, rosso) e dal Pan-Arctic Ice Ocean Modeling and Assimilation System (PIOMAS, blu).
Questi registri osservativi mostrano come il drastico calo del ghiaccio, evidente in gran parte dei dati satellitari, abbia rallentato dalla fine degli anni 2000. Mostrano inoltre che il rallentamento non è limitato ai mesi estivi, ma si verifica durante tutto l’anno.
Lo studio non è il primo a sottolineare questo rallentamento – diversi lavori recenti hanno già esaminato vari aspetti del fenomeno. Nel frattempo, un articolo del 2015 si è rivelato sorprendentemente lungimirante nel suggerire che un tale rallentamento potesse avvenire.
Il rallentamento è sorprendente?
La perdita di ghiaccio intorno al Polo Nord è sia una causa che un effetto dell’“amplificazione artica”, il termine con cui si indica il rapido riscaldamento della regione.
Lo scioglimento di neve e ghiaccio riduce la capacità riflettente, o “albedo”, della superficie artica, il che significa che meno luce solare viene riflessa nello spazio. Questo provoca un maggiore riscaldamento e un ulteriore scioglimento di neve e ghiaccio.
Questo “feedback dell’albedo superficiale” è uno dei vari fattori che alimentano l’amplificazione artica.
Poiché il riscaldamento globale è causato dal continuo aumento delle emissioni di gas serra, potrebbe sembrare paradossale – o persino impossibile – che la perdita di ghiaccio marino artico possa rallentare.
Tuttavia, le più recenti generazioni di modelli climatici utilizzati per il Coupled Model Intercomparison Project (CMIP) – lo sforzo internazionale di modellazione che alimenta i rapporti dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) – mostrano perché ciò possa accadere.
I modelli di CMIP5 e CMIP6, che simulano il periodo storico ed esplorano diversi scenari futuri di riscaldamento, indicano che i rallentamenti nella perdita di ghiaccio marino artico della durata di più decenni sono relativamente comuni – si verificano in circa il 20% delle simulazioni.
Questo accade a causa della variabilità naturale del sistema climatico, che può temporaneamente controbilanciare il declino del ghiaccio marino – persino in scenari ad alte emissioni.
Uno dei metodi con cui gli scienziati del clima indagano la variabilità naturale è eseguire più simulazioni di un modello, ciascuna con identici livelli di emissioni di anidride carbonica, aerosol e metano causate dall’uomo. Queste sono note come “ensemble”.
A causa della natura caotica del sistema climatico, che genera diverse fasi di variabilità naturale, le varie simulazioni producono risultati differenti – anche se il segnale a lungo termine del cambiamento climatico dovuto alle attività umane rimane costante.
I grandi ensemble ci aiutano a comprendere come interpretare i dati climatici osservati sulla Terra, influenzati sia dal cambiamento climatico indotto dall’uomo sia dalle variazioni naturali.
La ricerca ha esaminato quante singole simulazioni dell’ensemble mostrano un rallentamento simile o maggiore della perdita di ghiaccio rispetto a quello osservato tra il 2005 e il 2024.
I modelli mostrano che la variabilità climatica naturale può accelerare la perdita di ghiaccio, come visto durante i minimi record del 2007 e 2012. Tuttavia, questa stessa variabilità può anche rallentare temporaneamente il trend discendente di lungo periodo.
I principali sospettati dietro questa variabilità pluri-decennale sono le fluttuazioni naturali legate al Pacifico tropicale e all’Atlantico settentrionale, sebbene le cause precise non siano ancora state quantificate.
Ad esempio, un passaggio dalla fase positiva e calda a quella negativa e fredda di un ciclo naturale come l’Oscillazione Pacifica Interdecadale è associato all’arrivo di acque molto più fredde lungo la costa nordamericana e fino all’Artico. Questo potrebbe potenzialmente favorire la crescita del ghiaccio marino.
Cosa potrebbe accadere al ghiaccio marino artico in futuro?
Quanto potrebbe durare l’attuale rallentamento?
Le simulazioni climatiche suggeriscono che l’attuale fase potrebbe continuare per altri cinque o dieci anni. Tuttavia, c’è un aspetto fondamentale: rallentamenti come questo spesso preparano il terreno a cali più rapidi in seguito. I modelli climatici suggeriscono che, quando il rallentamento finirà inevitabilmente, il ritmo della perdita di ghiaccio marino potrebbe accelerare bruscamente.
Migliaia di simulazioni analizzate nella ricerca rivelano che la perdita di ghiaccio a settembre aumenta a un ritmo superiore a 500.000 km² per decennio dopo periodi prolungati di perdita minima. Questo equivarrebbe a oltre il 10% della copertura di ghiaccio attuale in settembre.
Un’analogia proposta in un articolo del 2015 su Carbon Brief dal professor Ed Hawkins, in cui l’estensione del ghiaccio artico viene paragonata a una palla che rimbalza giù da una collina, è particolarmente calzante.
Proprio come la palla – che raggiunge comunque il fondo a causa della gravità, nonostante un percorso irregolare – anche la perdita di ghiaccio marino artico può temporaneamente sembrare contraria alle aspettative.
In ultima analisi, tuttavia, la perdita di ghiaccio riprenderà, riflettendo la tendenza di fondo del riscaldamento causato dall’uomo.
Anche se può sembrare contraddittorio che la perdita di ghiaccio marino artico rallenti mentre le temperature globali aumentano, i modelli climatici mostrano chiaramente che tali periodi sono parte attesa della variabilità climatica.
Di conseguenza, il recente rallentamento del ghiaccio artico non segnala la fine del cambiamento climatico né riduce l’urgenza di tagliare le emissioni di gas serra, se si vogliono raggiungere gli obiettivi globali.
Mentre l’attuale fase potrebbe protrarsi ancora per alcuni anni, quando la perdita di ghiaccio riprenderà, potrebbe farlo con intensità rinnovata.
Credit Geophysical Research Letters, doi:10.1029/2025GL116175 (METEOGIORNALE.IT)
