
Questo è un racconto di pura fantasia creato dall’autore per la “rubrica di Fantascienza”.
È l’alba di un Venerdì di fine Marzo nel cuore del Parco nazionale di Yellowstone. La temperatura sfiora i -3°C, e una sottile brina ricopre gli aghi dei pini. Le luci dei primi SUV si fanno strada tra le ombre lunghe della foresta, ma la scena che si presenta davanti agli occhi dei visitatori è qualcosa che non ha precedenti. Centinaia di orsi bruni, silenziosi, immobili, sono sdraiati sull’asfalto della strada principale, bloccando ogni passaggio. La Highway 191, che serpeggia tra i boschi verso Mammoth Hot Springs, è completamente invasa.
Gli animali non mostrano segni di aggressività, ma neppure di paura. Le loro teste sono adagiate tra le zampe anteriori, gli occhi chiusi o socchiusi, come se stessero aspettando. Le auto si arrestano una dopo l’altra. I motori vengono spenti. Le persone osservano in silenzio, quasi sopraffatte da un senso di inquietudine. I bambini non parlano. I cani smettono di abbaiare. Qualcosa, qualcosa di profondo e ancestrale, blocca le parole in gola.
Pochi minuti dopo, i ranger del parco arrivano sul posto. Si guardano tra loro, attoniti. Mai nessuno ha visto niente del genere. Non si tratta di un singolo esemplare ribelle o di un branco affamato. È un raduno ordinato, sinistro nella sua calma. Gli orsi non si muovono, non ringhiano, non reagiscono nemmeno ai fari delle auto o ai richiami degli agenti. Sembra quasi che vogliano proteggere qualcosa. O forse impedire qualcosa.
Il biologo comportamentale Eric Wexler, chiamato d’urgenza dalla stazione di ricerca di Norris Geyser Basin, osserva la scena in silenzio per diversi minuti. Poi si allontana di qualche metro e tira fuori un vecchio taccuino. “Questi animali stanno reagendo a qualcosa che noi non percepiamo ancora,” mormora. “È un comportamento di allarme, ma collettivo. Non cercano rifugio, bloccano il passaggio.”
Nel frattempo, un team di vulcanologi della stazione di monitoraggio USGS di Yellowstone riceve strane letture dai sensori sotterranei. Da tre giorni, il livello del suolo nelle vicinanze della caldera del supervulcano si solleva a ritmo costante. L’acqua delle sorgenti termali ribolle più del solito, alcune pozze cambiano colore, rilasciando vapori sulfurei intensi. Ma le scosse sismiche sono deboli, appena percettibili.
La combinazione di segnali spinge gli scienziati a considerare una possibilità che fino a ieri sembrava solo teoria. Gli orsi potrebbero aver percepito vibrazioni infrasoniche, o variazioni del campo magnetico, sintomi di un possibile risveglio del supervulcano che giace sotto il parco da centinaia di migliaia di anni.
Le notizie si diffondono rapidamente. I media rilanciano le immagini. Le strade per Yellowstone vengono chiuse, e l’ingresso principale presidiato. Migliaia di turisti vengono evacuati. I cieli si oscurano leggermente: non per le nuvole, ma per un velo di particelle sottili che si sollevano dalle fumarole in quantità mai registrate prima. Anche i corvi spariscono dal cielo. Le alci non si vedono più.
Intanto, gli orsi restano lì. Non si muovono. Non mangiano. Non si guardano tra loro. Sono rivolti tutti nella stessa direzione, come un esercito silenzioso puntato verso il cuore della caldera. Qualcuno tra i ranger ipotizza che stiano cercando di proteggere il mondo da qualcosa. Altri temono che siano i primi a rispondere a un richiamo antico, quello della Terra stessa.
Alle 13:47, il suolo vibra. Un tremore sottile scuote la strada, appena sufficiente da far ondeggiare le auto parcheggiate. Gli orsi aprono gli occhi, tutti nello stesso istante. E senza un suono, si alzano in piedi, voltandosi lentamente verso la foresta. Poi, uno dopo l’altro, cominciano a camminare, rientrando tra gli alberi, come spinti da un ordine invisibile.
I presenti osservano, senza osare parlare. Nessuno li ferma. Nessuno li segue. Nessuno riesce a dimenticare.
