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TERREMOTO, tremenda scossa tellurica durata 9 giorni. Mai successo prima

Antonio Lombardi di Antonio Lombardi
21 Apr 2025 - 15:15
in A La notizia del giorno, A Scelta dalla Redazione, Magazine
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(METEOGIORNALE.IT) Il 16 settembre 2023 qualcosa di inaudito ha fatto tremare il pianeta. Tutto è partito dall’est della Groenlandia, precisamente dal remoto Dickson Fjord, e nel giro di meno di un’ora le onde sismiche hanno attraversato la crosta fino all’Antartide, rimbalzando come in un’eco infinita. Gli strumenti hanno registrato un suono ipnotico, ripetuto ogni novanta secondi: un secco «donk» che si è protratto per ben NOVE GIORNI. Gli scienziati di diversi continenti—dall’EUROPA agli STATI UNITI—si sono trovati di fronte ad un segnale che non assomigliava a nessun terremoto noto.

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La scena iniziale sembra uscita da un film catastrofico, ma purtroppo è cronaca scientifica: il ritiro progressivo di un GHIACCIAIO aveva tolto sostegno a un versante di montagna alto più di mille metri. La roccia, ormai priva del «collante» glaciale, ha ceduto di colpo precipitando verso il fiordo. Quel distacco – oltre venti milioni di metri cubi di detriti rocciosi e blocchi di ghiaccio – ha impattato l’acqua generando un TSUNAMI di circa DUECENTO metri di altezza (Science).

 

Il Dickson Fjord è lungo, stretto e chiuso su tre lati: le sue pareti scoscese hanno intrappolato l’onda. L’acqua, senza possibilità di defluire verso l’Oceano Artico, ha iniziato a oscillare avanti e indietro in un fenomeno noto come SESSA—un moto stazionario in cui l’intero specchio d’acqua pulsa come una cassa armonica. Questa oscillazione, amplificata dalla particolare geometria del bacino, ha trasformato il fiordo in un gigantesco diapason naturale, capace di far vibrare l’intera TERRA (seismosoc.org).

 

Ogni NOVANTA secondi il bacino restituiva un colpo sordo: DONK. Quel ritmo costante è stato registrato da stazioni sismiche sparse in tutto il globo, dalle Ande alle steppe dell’ASIA Centrale. Gli addetti ai sismometri, abituati a distinguere onde P e S di un terremoto, si sono trovati con un segnale monocromatico, quasi musicale, che non svaniva mai. A me, appassionato di GEOLOGIA fin da ragazzo, l’idea di una montagna che trasforma un fiordo in un metronomo planetario provoca un brivido misto a stupore. È la dimostrazione che i confini fra processi “locali” e “globali” non esistono più quando entra in gioco il CLIMA.

 

Per decifrare il mistero è servita una squadra internazionale di sessantotto ricercatori, che ha combinato dati sismici, immagini satellitari, rilievi con droni e modelli idrodinamici tridimensionali. I sismologi hanno isolato onde di periodo lunghissimo—oltre cento secondi—mentre i glaciologi hanno calcolato la perdita di massa dei ghiacci negli ultimi due decenni. Gli oceanografi, dal canto loro, hanno ricostruito la dinamica della SESSA mostrando come l’energia fosse sufficiente a superare l’attrito del fondale e mantenersi per giorni. Il risultato principale, pubblicato su SCIENCE e su The Seismic Record, è chiaro: la catena di eventi è stata innescata dal RISCALDAMENTO GLOBALE, che ha accelerato la fusione e quindi la destabilizzazione del versante.

 

Ciò che più mi colpisce è la portata simbolica di questo episodio. In molti pensano al cambiamento climatico come a un problema «del futuro» o confinato alle calotte polari. Qui invece vediamo un esempio concreto di come l’Artico possa letteralmente «suonare» la sua fragilità al resto del mondo. Ogni DONK è stato un richiamo: il disgelo non produce soltanto innalzamento del livello marino o alterazione degli ecosistemi, ma può innescare frane colossali, TSUNAMI regionali e persino vibrazioni globali. Le zone costiere dell’ALASKA, delle SVALBARD e dell’intera SCANDINAVIA condividono caratteristiche geomorfologiche simili; gli scienziati avvertono che eventi analoghi potrebbero verificarsi con maggiore frequenza nel giro di pochi decenni se la temperatura media del pianeta continuerà a salire oltre gli 1,5 °C rispetto all’era pre‑industriale.

 

Confesso che, mentre leggevo i tracciati sismici resi pubblici online, immaginavo la superficie terrestre come una membrana di tamburo percosso dal rullo costante di un fenomeno remoto. Ogni novanta secondi, per nove giorni, la TERRA ha ricordato a noi tutti che i sistemi naturali sono interconnessi in modi che la letteratura scientifica sta appena iniziando a decifrare. Non è la prima volta che un grande crollo glaciale produce un’onda anomala, ma è la prima volta che quel segnale persiste così a lungo e diventa un brano quasi ipnotico, una colonna sonora della CRISI CLIMATICA.

 

Camminando per Piazza Maggiore a Bologna, a migliaia di chilometri dall’Artico, mi è capitato di pensare che sotto i nostri piedi scorre un racconto silenzioso, fatto di forze titaniche che ignoriamo finché non sfiorano i nostri sensori. La vicenda del Dickson Fjord mi ricorda che la scienza non è solo raccolta dati: è ascolto, interpretazione, empatia verso un pianeta che parla con codici a volte inattesi. Se i prossimi decenni saranno segnati da transizioni energetiche, riduzione delle emissioni e adattamento, dovranno essere accompagnati anche da una maggiore sensibilità verso i segnali deboli ma significativi che la NATURA ci invia.

 

In definitiva, il caso del DONK ARTICO è molto più di un’anomalia sismica: è un campanello d’allarme, un invito a comprendere come le azioni umane possano amplificare processi geologici latenti, trasformando un fiordo sperduto in una cassa di risonanza globale. Sarebbe un errore relegare questo episodio a mera curiosità scientifica. È una pagina di GEOLOGIA contemporanea che ci impone di agire—con urgenza—per contenere il RISCALDAMENTO GLOBALE e per monitorare, con strumenti sempre più sofisticati, i sistemi montani e glaciali ai confini del mondo, prima che il prossimo DONK diventi l’ennesimo rombo di un dramma annunciato. (METEOGIORNALE.IT)

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