Le turbolenze in volo, in particolare quelle associate ai temporali, rappresentano uno dei fenomeni più complessi e temuti nell’aviazione. Quando un aereo attraversa una cella temporalesca, può incontrare correnti ascendenti e discendenti improvvise, variazioni di temperatura, grandine e forti venti divergenti. Questi elementi combinati generano un ambiente estremamente instabile e pericoloso, soprattutto ad altitudini comprese tra gli 8.000 e i 12.000 metri, dove la maggior parte dei voli di linea transita.
Le nuvole cumulonembo (Cumulonimbus), responsabili dei temporali, si sviluppano verticalmente fino alla tropopausa, e possono raggiungere altezze superiori ai 16.000 metri. Al loro interno si creano vere e proprie “correnti a colonna”, con velocità verticali dell’aria che possono superare i 40 m/s (oltre 140 km/h), capaci di scuotere violentemente anche i velivoli più moderni.
Perché i radar meteorologici non sempre evitano il problema
Gli aerei di linea sono dotati di sofisticati radar meteorologici doppler, capaci di rilevare la presenza di precipitazioni, grandine e zone di forte riflettività. Tuttavia, questi strumenti hanno limiti tecnici rilevanti:
- Non rilevano direttamente la turbolenza in aria chiara (Clear Air Turbulence, o CAT), ossia quella che avviene al di fuori delle nuvole, tipicamente nelle zone di confine tra masse d’aria a diversa velocità, spesso in assenza di pioggia o visibilità compromessa.
- In caso di forte pioggia o grandine, il segnale radar può essere attenuato, cioè assorbito o deviato dalla massa d’acqua, oscurando eventuali celle ancora più intense poste oltre la prima. Questo fenomeno è noto come shadowing o “effetto ombra” radar.
- Il radar è installato nel muso dell’aereo e può essere orientato in verticale ma ha un campo visivo limitato: può “vedere” solo ciò che si trova nella direzione in cui è puntato, non ciò che accade sopra, sotto o lateralmente alla traiettoria del velivolo.
Il sito della Federal Aviation Administration (FAA) approfondisce i limiti operativi dei radar e la fenomenologia delle turbolenze convettive.
Perché non si cambia sempre rotta
Il cambio di rotta per evitare le turbolenze non è sempre possibile o praticabile. Le motivazioni sono di natura sia tecnica che gestionale:
- Gli spazi aerei sono altamente trafficati, specialmente nei corridoi intercontinentali. Cambiare rotta può significare entrare in rotta di collisione con altri aerei, generando un problema per il controllo del traffico aereo (ATC).
- Le restrizioni geopolitiche o militari limitano l’accesso a molte zone di volo. Per esempio, alcune aree dell’Asia Centrale, del Medio Oriente o dell’Oceano Pacifico sono interdette o regolamentate.
- Un deviazione eccessiva comporta un maggiore consumo di carburante. Ogni variazione di rotta viene bilanciata in tempo reale dal comandante insieme ai controllori, sulla base di una valutazione rischio/beneficio.
- I temporali si muovono rapidamente e possono cambiare forma e intensità in pochi minuti. Quello che era un passaggio libero al momento della pianificazione può diventare pericoloso durante il volo.
Il sito specializzato Skybrary analizza in dettaglio le scelte operative nei confronti delle celle temporalesche e le dinamiche di decisione in cabina di pilotaggio.
Il ruolo del fattore umano e dei limiti fisici
I piloti, anche se supportati da strumentazione all’avanguardia, devono prendere decisioni rapide in ambienti ad altissima complessità. Le condizioni meteo non sono sempre perfettamente prevedibili, e in alcuni casi la turbolenza si presenta in modo improvviso e violento, come accaduto di recente nel volo Singapore-Londra che ha riportato gravi feriti.
La NASA Aviation Safety Reporting System (ASRS) ha documentato diversi casi in cui la tempestività delle informazioni meteorologiche non è stata sufficiente a evitare l’ingresso in zone turbolente.
Conclusione scientifica
Le turbolenze nei temporali sono il risultato di una complessa interazione tra fisica dell’atmosfera, limiti tecnologici degli strumenti a bordo e gestione del traffico aereo globale. La loro previsione è migliorata, ma la loro completa evitabilità è ancora lontana, rendendo questo fenomeno uno dei campi più attivi nella ricerca scientifica sull’aviazione.
