L’accumulo di magma sotto Yellowstone e l’innesco della super eruzione
Nel cuore del Nord America, sotto la caldera di Yellowstone, un’immensa massa magmatica, superiore a mille chilometri cubi, potrebbe teoricamente raggiungere temperature oltre gli 850 °C, accumulando pressione fino al collasso della volta superiore. In questo scenario, si innescherebbe una super eruzione vulcanica classificata come VEI 8, equivalente a un’esplosione mille volte più intensa di quella del Mount St. Helens nel 1980.
L’eruzione proietterebbe una colonna alta 35 chilometri, carica di cenere vulcanica e gas solforosi, fin nella stratosfera, coinvolgendo i venti a getto che circondano il globo. Questo fenomeno, secondo le stime più avanzate, scatenerebbe una sequenza distruttiva con effetti planetari.
Meccanismo geodinamico e potenza dell’esplosione
Una super eruzione nasce da un serbatoio magmatico di decine di chilometri di estensione. Il rilascio violento di gas magmatici causa un’espansione catastrofica, con materiale piroclastico che si muove a centinaia di metri al secondo. In pochi minuti, un gigantesco ombrello eruttivo si estenderebbe su un’area grande quanto il Texas.
I flussi piroclastici, fra i più distruttivi in natura, raderebbero al suolo qualsiasi cosa nel raggio di 200 chilometri, mentre la caldera collasserebbe generando crateri profondi centinaia di metri. Secondo il Rand Corporation, il tasso d’emissione supererebbe 10⁹ kg/s, una vera cascata incandescente verso l’alta atmosfera.
Dispersione della cenere e impatto atmosferico
Una volta nella stratosfera, la cenere e gli aerosol di diossido di zolfo (SO₂) verrebbero trasportati dai venti occidentali verso Europa, Africa e Asia in meno di due settimane. Città come Parigi, Londra e Berlino potrebbero ricevere fino a 3 mm di tefra, sufficiente a danneggiare turbine aeree e oscurare impianti fotovoltaici.
Nel giro di un mese, la nube raggiungerebbe Oceania, chiudendo un anello globale di polveri vulcaniche. Studi dell’USGS avvertono che anche eruzioni minori potrebbero imbiancare gran parte del continente nordamericano, compromettendo la qualità dell’aria e le comunicazioni satellitari.
Raffreddamento globale e crisi alimentare
Gli aerosol solforici riflettono la radiazione solare, portando a un temporaneo raffreddamento climatico. Secondo simulazioni pubblicate sul Journal of Climate, anche in presenza di decine di gigatonnellate di SO₂, la diminuzione della temperatura globale non supererebbe 1,5 °C, ma ciò sarebbe sufficiente a provocare carestie su larga scala nel Sud-est asiatico e nel Midwest americano.
Le conseguenze più gravi includerebbero il rafforzamento dei ghiacci marini, l’indebolimento della circolazione termoalina atlantica e la disorganizzazione dei monsoni tropicali, con inverni vulcanici che potrebbero durare fino a cinque anni.
Ripercussioni su salute, economia e mobilità globale
Le polveri vulcaniche fini, simili a vetro microscopico, penetrano negli alveoli polmonari, danneggiano la vista e bloccano la fotosintesi. Grandi aeroporti come quelli di New York, Tokyo, Dubai e Sydney verrebbero chiusi per settimane, con effetti devastanti sulle catene logistiche globali.
Il PIL mondiale potrebbe ridursi di oltre il 10 % nel primo anno post-eruzione, secondo previsioni macroeconomiche. A livello umanitario, si stima la nascita di decine di milioni di sfollati climatici, in fuga verso aree coltivabili in Sud America e nell’Africa orientale.
Tecnologie di allerta precoce e gestione del rischio
Il Yellowstone Volcano Observatory dispone di strumentazione ad altissima precisione, come GPS millimetrici e radar satellitari, capaci di rilevare deformazioni inferiori ai 2 cm. I precursori dell’eruzione includono sciami sismici, aumento della pressione dei gas magmatici e deformazioni rapide della crosta terrestre.
Tuttavia, anche con settimane di preavviso, evacuare milioni di persone da Wyoming, Montana e Idaho sarebbe una sfida logistica colossale. Servirebbe un coordinamento internazionale permanente, simile a quello dell’IPCC, ma dedicato ai rischi vulcanici globali.
Rischi futuri e localizzazioni alternative
La prossima super eruzione potrebbe non avvenire negli Stati Uniti. Zone ad alto rischio comprendono i Campi Flegrei in Italia meridionale, il lago Taupō in Nuova Zelanda e la caldera di Toba in Indonesia. Recenti pubblicazioni su Nature Communications evidenziano segnali preoccupanti nella Piana Campana, con deformazioni crostali attive e rischio di eventi vulcanici a grappolo.
Un’esplosione tropicale avrebbe effetti più equamente distribuiti tra emisferi, ma meno duraturi, grazie alla circolazione di Hadley, che rimescola più rapidamente l’atmosfera equatoriale.
La fragilità del nostro equilibrio planetario
Eventi come quelli del Toba 74.000 anni fa o del Taupō 26.000 anni fa dimostrano che le super eruzioni non appartengono alla fantascienza, ma alla storia geologica terrestre. La probabilità annua stimata resta bassissima, circa 6,7 su 100.000, ma le conseguenze potenziali sono tali da giustificare investimenti nella ricerca, nel monitoraggio vulcanico e nella resilienza sistemica. Vivere su un pianeta dinamico comporta abbracciare sia la sua potenza geotermica sia la nostra vulnerabilità climatica.
