Lo studio ha coinvolto 241 pazienti in stato di coma con gravi lesioni cerebrali, osservati in sei diverse località tra Stati Uniti, Regno Unito ed Europa nel corso di 15 anni. I pazienti non erano in grado di rispondere a comandi vocali semplici, sollevando dubbi sulla presenza di coscienza. Per verificare questa ipotesi, i ricercatori hanno utilizzato la risonanza magnetica funzionale (fMRI) e l’elettroencefalografia (EEG) per monitorare l’attività cerebrale mentre ai pazienti venivano dati comandi come “immagina di aprire e chiudere la mano”. Sorprendentemente, 60 dei partecipanti hanno mostrato segni di attività cerebrale che indicavano che stavano seguendo mentalmente i comandi, nonostante l’assenza di reazioni fisiche visibili.
La dissociazione cognitivo-motoria si manifesta quando i pazienti, pur mantenendo la capacità di comprendere il linguaggio, ricordare istruzioni e mantenere l’attenzione, non possiedono funzioni motorie attive. Yelena Bodien, uno degli autori dello studio, ha affermato: “Alcuni pazienti con gravi lesioni cerebrali sembrano non rispondere agli stimoli esterni. Tuttavia, quando valutati con tecniche avanzate come fMRI ed EEG basati su compiti specifici, possiamo rilevare attività cerebrale che suggerisce il contrario.”
Queste scoperte sollevano questioni etiche e cliniche fondamentali: come possiamo utilizzare questa capacità cognitiva nascosta per stabilire un sistema comunicativo con questi individui e promuovere ulteriormente la loro guarigione?
Studi precedenti avevano stimato che la dissociazione cognitivo-motoria fosse presente nel 15-20% dei casi; tuttavia, questo nuovo studio suggerisce che la percentuale potrebbe raggiungere anche il 25%. In passato, alcune ricerche potrebbero aver sottovalutato questo fenomeno, poiché si basavano su una sola delle tecniche diagnostiche (fMRI o EEG), mentre questo studio ha dimostrato l’importanza di utilizzare entrambe le metodologie combinate per identificare segni di consapevolezza nei pazienti non reattivi.
Analizzando i dati, è emerso che 36 dei 60 casi sono stati identificati solo grazie all’impiego combinato di fMRI ed EEG, evidenziando la necessità di utilizzare entrambe le tecniche per ottenere una diagnosi più accurata. Inoltre, è stata riscontrata una maggiore persistenza della funzione cognitiva nei pazienti più giovani o in quelli con lesioni traumatiche, rispetto a quelli colpiti da ictus o infarto cardiaco.
Nicholas Schiff, esperto nel campo, ha dichiarato: “Questa netta dissociazione tra capacità cognitive conservate senza evidenze comportamentali è più comune di quanto pensassimo.” Schiff ha inoltre sottolineato l’importanza etica di questo studio, affermando che ora c’è un obbligo morale verso questi pazienti di tentare di ristabilire un contatto con il mondo esterno.
Lo studio è stato pubblicato sulla rivista The New England Journal of Medicine.
