Quando la maggior parte delle persone immagina un vulcano, la mente corre immediatamente alle iconiche montagne che emergono dalla terraferma: il maestoso Vesuvio che domina la baia di Napoli, l’imponente sagoma del Krakatoa in Indonesia, o le spettacolari eruzioni dell’Etna che illuminano il cielo siciliano. Tuttavia, questa rappresentazione mentale cattura solo una piccola frazione della realtà vulcanica del nostro pianeta. La verità è che l’80% di tutta l’attività vulcanica terrestre si svolge nelle profondità oceaniche, lontano dagli occhi umani e spesso completamente inosservata.
Questi vulcani sottomarini rappresentano delle vere e proprie valvole di sicurezza geologiche, svolgendo un ruolo cruciale nel rilascio del calore interno della Terra e nel trasporto di roccia fusa dal mantello verso la superficie del fondale oceanico. Si tratta di un sistema dinamico e complesso che contribuisce significativamente al rinnovamento della crosta terrestre e alla formazione di nuovi fondali marini attraverso processi che si perpetuano da milioni di anni.
Attualmente, l’attenzione della comunità scientifica internazionale è concentrata su un particolare vulcano sottomarino: l’Axial Seamount, situato a circa 480 chilometri al largo della costa dell’Oregon nelle acque dell’Oceano Pacifico settentrionale. Secondo le più recenti osservazioni e analisi condotte dai ricercatori, questo gigante sottomarino sta mostrando tutti i segnali caratteristici di un’imminente eruzione vulcanica.
L’Axial Seamount è una struttura vulcanica sottomarina di dimensioni considerevoli, con un diametro di circa un miglio e mezzo che si eleva dal fondale oceanico a una profondità di 1.500 metri sotto la superficie del mare. La sua storia eruttiva recente è ben documentata: ha manifestato attività esplosiva nel 1998, nel 2011 e più recentemente nel 2015, creando ogni volta significative modificazioni della morfologia del fondale marino circostante.
L’ultima eruzione del 2015 ha fornito agli scienziati dati preziosi sui meccanismi di funzionamento di questo vulcano sottomarino. Durante quell’evento, il fondale oceanico circostante è sprofondato di quasi 2,4 metri, un fenomeno che ha letteralmente ridisegnato la geografia sottomarina locale e ha completamente rimodellato i delicati ecosistemi dei campi idrotermali che caratterizzano quest’area. Questi campi idrotermali sono ambienti unici che ospitano forme di vita specializzate, adattate alle condizioni estreme di temperatura e pressione che caratterizzano le profondità oceaniche.
Attualmente, gli strumenti di monitoraggio installati sul fondale marino stanno registrando segnali inequivocabili di un’attività vulcanica in crescita. Il primo e più evidente di questi indicatori è il considerevole rigonfiamento del fondale marino nell’area circostante il vulcano, un fenomeno che indica chiaramente l’accumulo di magma nelle camere sotterranee. Parallelamente, si sta verificando un significativo aumento dell’attività sismica, con sciami di terremoti che rappresentano la manifestazione superficiale delle pressioni che si stanno accumulando nelle profondità della crosta terrestre.
Il geofisico marino William Wilcock, uno dei principali esperti che stanno monitorando la situazione, ha spiegato come alcuni ricercatori abbiano sviluppato teorie secondo cui l’entità del rigonfiamento vulcanico possa essere utilizzata come indicatore predittivo del momento in cui avverrà l’eruzione. Secondo queste ipotesi, il vulcano si è già gonfiato raggiungendo e superando i livelli registrati prima delle tre eruzioni precedenti, suggerendo che l’evento potrebbe verificarsi in tempi relativamente brevi.
Attualmente, il sistema di monitoraggio registra tra 200 e 300 terremoti giornalieri nell’area dell’Axial Seamount. In alcuni giorni particolari, questo numero può aumentare drasticamente fino a raggiungere circa 1.000 eventi sismici in 24 ore, spesso in corrispondenza dei cambiamenti di marea che influenzano le pressioni esercitate sulla crosta terrestre. Tuttavia, questi valori sono ancora inferiori rispetto a quelli registrati nel periodo precedente l’eruzione del 2015, quando si verificavano circa 2.000 terremoti al giorno per diversi mesi consecutivi.
Fortunatamente, questa potenziale eruzione non rappresenta alcuna minaccia diretta per la popolazione umana. La profondità alla quale si trova il vulcano e la distanza dalla costa garantiscono che qualsiasi attività eruttiva rimarrà confinata alle profondità oceaniche, senza generare tsunami o altri fenomeni pericolosi per le comunità costiere.
Dal punto di vista scientifico, questa situazione rappresenta un’opportunità straordinaria per l’avanzamento della vulcanologia sottomarina. I vulcani sottomarini sono notoriamente difficili da studiare a causa della loro inaccessibilità, quindi ogni evento eruttivo costituisce una preziosa occasione per acquisire nuove conoscenze sui meccanismi che regolano questi fenomeni geologici.
Gli scienziati sono particolarmente interessati a comprendere come l’influenza delle maree possa influenzare la probabilità di un’eruzione. Durante l’alta marea, il peso aggiuntivo dell’acqua esercita una pressione maggiore sulla crosta terrestre, mentre durante la bassa marea questa pressione diminuisce, creando condizioni che potrebbero favorire l’attivazione di processi eruttivi nelle camere magmatiche sottostanti.
