La carne coltivata sta lentamente facendo la sua comparsa nel panorama gastronomico mondiale. Già disponibile in un ristorante di Singapore e in un locale nei pressi di Tel-Aviv, presto sarà anche nel menù di due ristoranti negli Stati Uniti. In Italia, tuttavia, la sua commercializzazione è ancora vietata per legge. Stefano Biressi, professore di biologia molecolare all’Università di Trento e consulente dell’unica startup italiana attiva nel settore, ci spiega di più su questa innovativa alternativa alla carne tradizionale.
Carne coltivata: un processo naturale, non sintetico
Nonostante venga spesso definita “carne artificiale” o “carne sintetica”, queste definizioni non sono corrette. Infatti, la produzione di carne coltivata non prevede reazioni di sintesi chimica. Il processo inizia con il prelievo di cellule staminali di muscolo dall’animale attraverso una biopsia. Queste cellule vengono poi coltivate in bioreattori con un liquido di coltura che contiene elementi nutritivi e fattori necessari per indurre la moltiplicazione, il differenziamento e la maturazione in cellule muscolari. Il processo completo può richiedere diverse settimane e milioni di cellule per ottenere un pezzo di muscolo. Alcuni ricercatori stanno anche studiando cellule non muscolari per produrre altre componenti della carne, come il grasso e i vasi sanguigni.
La varietà dei prodotti disponibili
A dieci anni dal primo hamburger coltivato nei Paesi Bassi, oggi la varietà di carni coltivate è notevolmente aumentata. Oltre ai nugget di pollo, che spesso contengono anche carne vegetale, sono state prodotte sperimentalmente carni bovine, suine, ovine e persino di pesce. La produzione di polpette o carne macinata è più semplice, ma sono già stati fatti tentativi per ricreare la forma e la struttura della bistecca usando stampanti 3D e impalcature su cui coltivare le cellule. Tuttavia, i prodotti ottenuti non sono ancora del tutto paragonabili a quelli originali e i costi per una produzione su larga scala rimangono elevati.
I vantaggi della carne coltivata
La carne coltivata promette di essere più salubre e controllata di quella tradizionale, e soprattutto di ridurre il ricorso agli allevamenti intensivi, risparmiando emissioni, consumo di acqua, suolo ed energia. Tuttavia, i dati disponibili sono contrastanti. Un recente studio dell’Università della California ha calcolato che la produzione di un chilo di carne coltivata potrebbe liberare nell’ambiente equivalenti di CO2 da 4 a 25 volte le emissioni della produzione tradizionale. Biressi sottolinea che fare stime dell’impatto ambientale è difficile, in quanto ogni prodotto richiede ingredienti e metodiche differenti.
Un mercato in espansione
Circa 180 startup in tutto il mondo sono attualmente impegnate nella ricerca sui cibi coltivati. Le previsioni al 2030 prevedono un mercato che va dai 5 ai 25 miliardi di dollari. Le stime relative all’occupazione sono altrettanto positive: solo per il Regno Unito, si prevedono tra 9.200 e 16.500 nuovi posti di lavoro.