Dopo ogni evento naturale di portata al di fuori del normale si parla di calamità. Ma è proprio pertinente questa definizione, oppure occulta una, più o meno diretta, responsabilità?
Dopo ogni disastro si cercano, spesso tra vivaci polemiche, le responsabilità e s’indaga sulla prevedibilità o no del fenomeno. In genere si va ostinatamente a cercare un alibi contro la propria negligenza e si ripete, più a sé stessi che agli altri, che quanto è avvenuto non si verificava a memoria d’uomo. Memoria invero molto labile, poiché spesso basta scorrere le cronache passate per scoprire il ripetersi, talora assai monotono, di eventi più o meno simili.
Ma imputare alla natura la responsabilità dei nostri mali, ci assolve, come danneggiati, e,quando prestiamo il nostro aiuto ci fa sentire dei salvatori. E tutto ciò avviene con una grande logorrea, in seminari, simposi, tavole rotonde, ecc.
Difficilmente in questo fiume di parole, se ne sente una che proponga di fissare un limite, dire cioè fin dove la nostra opera possa spingersi senza ferire la natura. Non è eccezionale, infatti, visitando i luoghi colpiti da una catastrofe, notare come l’uomo abbia fatto il possibile per mettersi nelle condizioni di venire danneggiato dalla naturale tendenza evolutiva di un inarrestabile, e talora banale, fenomeno.
Le forze della natura ci appaiono talvolta imprevedibili; ma quante sciagure sono, invece, il frutto dell’imprevidenza, del pressappochismo, oppure sono dovute alla mano dell’uomo, troppo pesante nel far scempio della natura e in genere assente per correggerne gli eccessi?
L’evento naturale, quindi, rappresenta davvero una calamità?
Nello scorrere la storia geologica dell’Italia, è noto come il nostro Paese sia stato soggetto a forze che ne hanno agitato la superficie. Non si tratta solamente di un movimento di zolle crostali o di sollevamento di catene montuose, ma di fenomeni meno vistosi; tuttavia, importanti per le modifiche che hanno apportato alle terre emerse.
Queste forze sono tuttora presenti in quanto il nostro è un pianeta vivo ed è perciò che si verificano non soltanto terremoti ed eruzioni vulcaniche, ma anche modifiche meno spettacolari della sua morfologia.
Il concetto di calamità naturale diventa pertanto molto relativo, poiché viene a riferirsi a un evento che rappresenta lo sviluppo naturale della dinamica terrestre. Questo termine assume consistenza soltanto quando viene rapportato ai danni subiti dall’uomo. Appare quindi chiaro che se quest’ultimo non interferisce nell’evoluzione della natura vien meno ogni discorso di calamità.
Nasce allora spontanea una seconda domanda. Quanto è ragionevole ritenere imprevedibile quell’evento che può trasformarsi in catastrofe? Vi sono in natura fenomeni con i quali noi conviviamo giornalmente senza subire particolari danni, come, alle nostre latitudini, il forte calore solare estivo oppure la noiosa e incessante pioggia autunnale.
L’evento dev’essere pertanto sia eccezionale, sia dannoso all’uomo o alle sue opere. È evidente che, in ogni caso, il termine calamità diventa molto soggettivo, in quanto la sola espressione di evento naturale, anche se eccezionale, può non rappresentare una calamità.
Ogni evento naturale non è di per sé negativo, rappresentando il frutto di fattori che agiscono secondo leggi fisiche, chimiche e biologiche ben definite le quali sono alla base d’ogni tendenza evolutiva della natura. Senza la presenza dell’uomo, quindi, un evento può non essere calamitoso, poiché agisce in funzione di certi equilibri naturali.
Un fiume in piena, ad esempio, rappresenta il naturale deflusso d’abbondanti acque precipitate nel bacino idrico; queste acque seguono un loro decorso naturale che può diventare dannoso soltanto se, lungo il medesimo, danneggia le opere dell’uomo. È pertanto quest’ultimo che in tal caso viene a turbare un equilibrio. In sostanza ciò che è calamità naturale per l’uomo, può rappresentare, invece, un evento positivo per altre componenti del mondo naturale.