Nei mesi di emergenza sanitaria per il coronavirus, l’attenzione maggiore era rivolta verso tutti i pazienti affetti dal virus e nella capacità di accoglierli in ospedale.
La pandemia però, silenziosamente, ha avuto degli impatti psicologici impossibili da sottovalutare. Un recente studio, pubblicato sulla rivista JAMA Internal Medicine, ha riscontrato un picco di ricerche su Google legate a stati d’ansia e attacchi di panico, proprio tra marzo e aprile 2020.

Lo studio, condotto dall’Università della California a San Diego, la Johns Hopkins University, Barnard College, e l’Institute for Disease Modeling, ha analizzato le chiavi di ricerca su Google che menzionavano “attacchi di panico” e “attacchi d’ansia”, ricercate sulla piattaforma da gennaio 2004 al 9 maggio 2020.
Frequenti frasi ed espressioni simili a “sto avendo un attacco di panico?” e “sintomi di un attacco d’ansia”.
L’idea dello studio nasce dalla frequenza con cui le crisi d’ansia appaiono nella vita quotidiana delle persone, specialmente in relazione a situazioni di stress acuto e prolungato, esattamente come quello creato dalla pandemia. Stati d’ansia simili, possono portare alla depressione, e risultano socialmente contagiosi: infatti, vedere una persona agitata aumenta il livello di cortisolo (l’ormone dello stress) presente in ogni individuo, e ci spinge quasi a fare nostra l’ansia dell’altro.
L’analisi vede nel dettaglio come nei primi 58 giorni di pandemia si siano registrate 3,4 milioni di ricerche totali su Google legate a gravi stati d’ansia, solo negli Stati Uniti.
L’incremento più evidente si è verificato tra il 16 marzo e il 14 aprile, quando le ricerche legate agli stati d’ansia sono aumentate del 17% rispetto ai valori medi registrati in 16 anni.
Esattamente in questo periodo sono state istituite le linee guida di distanziamento sociale con l’introduzione dei relativi dispositivi di protezione come le mascherine, gli Stati Uniti hanno superato la Cina in casi di positività e l’Italia in mortalità e lentamente cominciarono i vari lockdown in alcuni Stati federali.
“Un attacco di panico non va preso alla leggera perché può condurre una persona al Pronto Soccorso con difficoltà respiratorie, tachicardia, dolore al petto e una sensazione intensa di paura”, spiegano gli autori dello studio.
Secondo i ricercatori è necessario un incremento dei servizi di assistenza alla salute mentale, anche a distanza. Un potenziamento di linee telefoniche con il supporto di un professionista per chi si trova in condizioni di ansia acuta, sarebbe molto utile.
L’importanza di seguire le persone più vulnerabili in questo momento, si vedrà anche negli anni a venire: “Durante la Covid-19 – spiegano i ricercatori – abbiamo individuato per la prima volta, con metodi di analisi simili, impennate negli acquisti di terapie non provate e di armi: delle questioni che valicano le tematiche sulla salute mentale”.
Far emergere i numeri dei servizi di supporto tra i primi risultati della ricerca sarebbe fondamentale, in modo che chi ne abbia bisogno trovi supporto facilmente.